Nel presentare la mostra ˈmɛɡəˈraɪd osservo con soddisfazione quanto bene il titolo descriva l’esperienza del primo Jet Leg napoletano. Esso deriva dalla prima impressione che l’orecchio anglofono ha avuto del toponimo Megaride (“mega”-“ride”), l’isolotto su cui sorge il Castel dell’Ovo, e in effetti “l’incursione” dei jettis a Napoli è stata incisiva e sincera che ha scommesso contro le limitazioni istituzionali e sanitarie. La prima sfida che hanno dovuto affrontare è stata quella di trovarsi a sperimentare l’apertura, il rinnovato contatto tra le persone post-covid con l’espansivo popolo partenopeo. Lo spaesamento che avevamo previsto, il “jet lag” è stato allora prima di tutto avvertito a livello interpersonale. La seconda sfida è stata affrontare il dinamismo della città, i suoi paradossi. Questo talvolta ha significato trovarsi difronte ad una parziale perdita del controllo sulla fase creativa, così la produzione ha abbracciato una dimensione estemporanea e alcuni artisti hanno ottenuto esiti inattesi. L’imprevisto e la sorprendente flessibilità che hanno dimostrato ha apportato alle opere presenti in mostra un quid, una crescita in termini di adattabilità che la nascita dei lavori prodotti da questi artisti in un contesto differente non conosceva.
«Una pratica ad alto rischio spoglia lo spazio sempre più agevole dell‘arte, prolifera sui muri, modula nuovi edifici di pensiero, costruisce e critica continuamente allineamenti spaziali, si muove apparentemente lungo condizioni date, rompe le relazioni precedenti, ri/trova nuovi luoghi e narrazioni di condensazione, assemblaggio e negoziazione: spazi multistrato per interpretazioni, prospettive e dialoghi che liberano il desiderio di ulteriori discussioni» (Constanze Metzel)
Se è vero che anche l’arte è un prodotto della società liquida (Zigmunt Bauman), con Jet Leg possiamo dire di aver in prima persona osservato il modo in cui la fluidità degli scambi in un mondo liquido generi anche stratificazioni e innesti. La mobilità sociale di per sé, oltre che uno spostamento è spesso sinonimo di forte cambiamento, trasformazione di spazi, territori e identità che non scompaiono, ma si stratificano. Per gli artisti tutto ciò si è tradotto in un processo di reciproco scambio che ha portato allo sviluppo di una strategia artistica comune nella definizione degli spazi e nell’allestimento della mostra.
Sara Fosco