Le anime pezzentelle nella cultura e cultualità a loro associate, oltre ad essere un patrimonio culturale e antropologico, rappresentano una risorsa di vera umanità per il mondo. Sia andando a ritroso nel tempo, ma anche parlando oggi con i devoti si capisce che il culto delle anime rappresenta il legame tra vivi e morti basato su uno scambio reciproco. Il teschio anonimo viene identificato durante una procedura di visite reiterate, – trovato in un mucchio di ossa sotto una cripta, ad esempio, pulito, e finalmente messo in una teca, dopo che la persona a cui apparteneva era apparsa al credente durante il sonno – per assumere nella memoria collettiva il ruolo di un garante delle virtù (religiose, civili): ci sono, per fare un esempio, i vari dottori Alfonso nelle cripte di Napoli e ci sono i promessi sposi (quelli che secondo leggende e „veggenti“ sono morti assieme, spesso cadendo da un aereo o investiti da un’automobile). Alfonso garantisce che ci siano i dottori buoni, onesti, quelli che non fanno differenza tra ricchi e poveri, e i promessi sposi sono interpreti del messaggio che benché si muore l’amore resterà. Nelle cripte, sia nel centro di Napoli sia a Secondigliano, ho spesso incontrato persone che si sentivano più al loro agio tra questi „anonimi“ che nei cimiteri. Benché tante „informazioni“ sui teschi rimangono incomplete o conosciute da pochi (da quelli che li hanno addottati) ognuno che pratica questa devozione è convinto dalla loro limpidezza e purezza. «Con i miei parenti ho litigato, tante cose sono rimaste non dette con loro no, le anime sono amici,» dicono i devoti. Si capisce che il culto delle anime è in fondo il culto della famiglia, però della famiglia vera: sono i teschi accanto ai quali si trovano le foto dei familiari morti, sono loro che stanno scontando la pena nel purgatorio e perciò, essendo ancora raggiungibili e bisognosi del nostro supporto, possono aiutare i nostri cari defunti a trasformarsi in antenati benevoli.
Fino ad oggi si pratica ancora a Napoli la doppia sepoltura: la prima serve per scoprire le ossa, durante la seconda si puliscono i resti mortali per raccoglierli nel loculo finale. La prima è contrassegnata dal lutto, dalla meditazione della soglia tra vita e morte, cioè dal processo ambiguo che inizia con la scomparsa di un parente; la seconda rappresenta la trasformazione conclusa, la collocazione del defunto tra gli avi. In un contesto sociale dove i legami familiari erano tanto fragili quanto essenziali (con una cifra altissima di „illegittimi“, „esposti“, orfani) e dove il patrimonio era inesistente o scarso (l’alta borghesia prima del boom dello spiritismo non aveva mai bisogno delle anime pezzentelle), il culto delle anime serviva per „rapportarsi“ – si dava nome e storia a qualcuno che poteva accompagnare e collocare i propri cari, ci si creava un posto intimo e indistruttibile nella memoria della città, e perlopiù si trasformava il proprio in assistenza (per le anime, ma spesso anche per i loro sosia, i poveri). Forse sarebbe azzardato chiamarlo un fait social totale, in ogni caso il culto delle anime del Purgatorio era e resta una straordinaria risposta a diverse domande.
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Come citare questo testo
Loyen van, U., (2018). Il senso della famiglia, in Amirante, F. (a cura di), Ritorno. Il culto delle anime pezzentelle, ShowDesk Edizioni, Napoli.
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Autore
Ulrich van Loyen, nato a Dresda nel 1978, è etnologo e studioso di letteratura. Dopo aver ricoperto diversi incarichi accademici in Italia (Urbino, L’Aquila) e Germania (Colonia, Monaco), attualmente insegna Teoria dei media e Antropologia dei media all’Università di Siegen.